venerdì 9 maggio 2008

ATTICISMO MILITANTE ovvero IL DIFFICILE RAPPORTO TRA LA SINISTRA E LE TERRAZZE

(dall’inserto satirico de l’Unità: M del 5 maggio 2008, anche dal sito di Stefano Disegni)




Mario Adinolfi, l’ancor giovane blogger del PD, primo dei non eletti a Roma nella lista del suo partito, nel commentare queste tavole di Stefano Disegni , ci ricorda un episodio che ha segnato la sua educazione sentimentale. Fu quando, appena adolescente, nella metà degli anni 80, avvicinatosi al mondo della politica si convinse a iscriversi alla DC perché -così gli dissero - la Democrazia Cristiana era "il partito dei portieri e dei figli dei portieri” mentre , "quelli dell'ultimo piano sono sempre comunisti" . Fu, a suo modo, una scelta, anticonformista, per un giovane dell’epoca. Ma anche una scelta discutibile e paradossale. Discutibile, perché, nonostante le motivazioni plausibili, anzi, addirittura nobili, caricava la debole categoria dei portieri di condominio di una responsabilità morale e di una capacità di orientamento politico, a dir poco, esagerata. Paradossale, perché, per andare controcorrente finiva con il legarsi a un partito stabilmente nella corrente del potere da più di 40 anni.
Ma mal gliene incolse. Infatti, il ciclone tangentopoli avrebbe ben presto spazzato via la DC, lasciando solo e sconsolato il povero Adinolfi. Particolarmente bersagliato dalla sfortuna, bisogna dire, perché anche ricoprire la posizione numero 17 (è proprio vero che anche i numeri hanno un'anima e un destino!) e di primo non eletto su una lista di 16 eletti è un fatto che brucia tanto da far pensare di essere nato sotto una cattiva stella.

Io, che sono esattamente di una generazione più vecchio di lui e che posso, quindi, dall'alto dei miei 65 anni, guardare Mario Adinolfi quasi come un figlio, ho altri ricordi. E ritengo utile un confronto generazionale tra le differenti educazioni sentimentali maturate nei diversi contesti.
All’inizio degli anni 60, studente del liceo classico Giulio Cesare di Roma, scuola di destra in un quartiere dominato dai missini di Caradonna (così si chiamavamo allora gli attivisti del Movimento Sociale Italiano che operavano a Corso Trieste), assistevo alle sempre più ricorrenti incursioni delle squadracce fasciste fuori della scuola. Non erano studenti e nemmeno facce note nel quartiere. Si trattava quasi sempre di picchiatori di professione trentenni che si allenavano in palestra e facevano il bello e il cattivo tempo con le loro vigliacche spedizioni punitive contro i pochissimi ragazzini di sinistra. Uno di questi picchiatori, ricordo, era privo di una mano, ma colpiva forte con il moncherino metallico. La mano gli era esplosa con una bomba durante un attentato. Quella di venire a date fisse "a darci una lezione", come loro stessi amavano ripetere, era una singolare maniera di festeggiare le ricorrenze del calendario fascista e di imporcele. Due date le ho ancora impresse nella mia mente e, mio malgrado, nel mio corpo: quella del 23 marzo, anniversario della fondazione dei fasci dei combattimento, e quella del 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma.
Antonello Venditti, anche lui studente del Giulio Cesare durante prima metà degli anni 60, nella canzone "Compagno di scuola" parla, appunto delle "fughe vigliacche nei corridoi". Si riferiva, appunto alle fughe provocate dalle spedizioni punitive dei fascisti in quegli anni. Insomma, essere comunisti in un liceo classico, a quei tempi e in quel quartiere non era una passeggiata. C’era il rischio di rompersi l'osso del collo e, per giunta, di rimanere isolati con il resto degli studenti e dei professori, anche loro, in gran parte, di destra. Senza contare le incomprensioni con i genitori che non la pensavano certo come me.
Ma mi sembrava una cosa giusta prendere la via meno facile: quella di schierarmi dalla parte dei più deboli. Fu così che io e pochi altri compagni di scuola e di fede politica decidemmo di dar vita, nel febbraio 1962, alla prima cellula comunista nella storia del Giulio Cesare, di cui fui il primo responsabile. Un incarico di cui ancora oggi vado fiero.
Più tardi, entrato nel mondo del lavoro continuai, nella migliore tradizione comunista, a non ascoltare quelli che mi consigliavano, per il mio bene, di "farmi gli affari miei". Anzi mi impegnai con passione a "farmi gli affari degli altri". Per esempio, mi adoperai per promuovere il glorioso sindacato, allora unitario, dei metalmeccanici (FLM) nell'azienda dove lavoravo, che fino ad allora ne era sprovvista. Anche per questo e per aver osato contrastare il potere aziendale, dovetti subire un licenziamento per rappresaglia, poi rientrato grazie alla solidarietà di tutti i lavoratori. Un altro licenziamento mi venne minacciato, anni più tardi e questa volta fu addirittura il segretario generale del mio sindacato in persona a salvarmi. Ora che sto in pensione, e sono in grado fare un bilancio quasi definitivo della mia vita, posso dire di non aver fatto una grande carriera. E' giusto che sia così. In fondo, anche se, a detta dei più, non mi facevano difetto alcune potenzialità, ero, sono e rimarrò fino alla morte un inguaribile rompiballe e per giunta di sinistra. Mi va bene così. Nessun rimpianto.
Insomma, essere comunista, essere di sinistra negli anni 60 e all'inizio degli anni 70 costava tanto e bisognava pagare caro.
Ma non sarebbe stato così ancora per molto. La modernizzazione stava incalzando,i tempi stavano cambiando e la sinistra si adeguava rapidamente.

Dalla seconda metà degli anni 70, ci fu, infatti, un’inversione di tendenza, che finì con il tradursi in un vero e proprio cambio di paradigma
Essere di sinistra non sarebbe stato più un ostacolo al perseguimento del proprio "particulare". Al contrario si sarebbe trasformato in un viatico, quasi indispensabile, per conquistare prestigio, successo, ricchezza nella vita e nella società. La Sinistra Atticista, che non è certo un'invenzione di Stefano Disegni, ma che ha avuto anche l'onore di un film di Ettore Scola (La Terrazza, 1980), si è sviluppata soprattutto a partire dalla metà degli anni 70, quando essere comunista non comportava più, come una volta, rischiare l'isolamento, le botte e il licenziamento, ma, al contrario, offriva la possibilità di una serie di vantaggi, comodità e opportunità.
Proprio in quegli anni stava emergendo nel Pci di Roma una nuova generazione di militanti, diventati, con sorprendente rapidità, quadri e poi dirigenti del partito. Avevano in comune una caratteristica: erano tutti figli di parlamentari del PCI, oppure ne avevano sposato le figlie. Tra questi spiccavano una serie di personaggi che alcuni decenni dopo avrebbero fatto parlare molto di sé: un certo Giuliano Ferrara, figlio dell'on. Maurizio Ferrara, un certo Massimo D'Alema figlio dell'on. Giuseppe D'Alema, e un certo Veltroni genero della senatrice Franca Prisco.
Ora 30 e più anni dopo siamo qui a leccarci le ferite e a raccogliere i frutti amari di questo funesto raccolto di figli e di generi di parlamentari.

Torniamo, ora, al problema dell'attico, da cui eravamo partiti. In proposito debbo confessare, che io, per quel che mi riguarda, l'attico ce l'ho da una vita. Tuttavia non mi riconosco in certi atteggiamenti “atticisti militanti” della sinistra snob che pure sono tanto diffusi quanto odiosi.
Ma la colpa può essere solo dell’attico?
Davvero è l’attico che fa diventare odiosi?
Forse, per ritornare ad Adinolfi bisogna distinguere anche tra diverse generazioni di abitanti degli attici.
Tra quelli che l’attico ce l’avevano e che malgrado l’attico sono diventati comunisti, e quelli che l’attico non ce l’avevano, ma che sono riusciti a farselo proprio grazie al fatto che erano comunisti.
E questo può spiegare anche perché ci troviamo di fronte alle macerie di una sinistra che non sa più riconoscersi, una sinistra senza un popolo di sinistra, arrivistica, snobistica, affaristica, hollywoodiana e palazzinara.
Una sinistra circondata, prima di tutto, dal disprezzo di quelli che pretenderebbe di rappresentare.
Una sinistra, un tempo di classe, ora di casta.
Una casta che, tenendosi a distanza dai più deboli per non rimanerne infettata, dall'alto delle sue terrazze e dei suoi attici, ha rubato i sogni e le speranze di milioni di donne e di uomini.
Una sinistra rossa sì, ma solo di vergogna.
Una sinistra che non riusciamo più a riconoscere, come con sguardo profetico, già 50 anni fa, aveva anticipato Pasolini, in una poesia che insieme ad altre ha contribuito alla educazione sentimentale della mia generazione:

"Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,/
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:/
tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,/
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli".


(epigramma "Alla Bandiera rossa" scritto nel 1958, da "La religione del mio tempo" di Pier Paolo Pasolini)

3 commenti:

Franco Maria Fontana ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
elena ha detto...

Condivido. Con tristezza, ma nel contempo con la voglia, tornata, di ributtarmi nella mischia.
Grazie...
posso linkarti?

Franco Maria Fontana ha detto...

Risposta e elena
certo che poi linkarmi